Un' alternativa
domenica, 17 aprile, 2016
Alternativa. Ma in alternativa a che cosa? Provate a pensare a una parola che sia il contrario di alternativa. Provate. A me, la prima che mi è venuta in mente è, rassegnazione. Quell’elemento che invade l’animo di chi non ha più niente su cui puntare. Di chi, non ha più alcun sogno per cui sognare. Di chi, non ha più un obiettivo. Non ha più uno scopo se non quello di sopravvivere per forza. Comunque. Per non morire davvero.
Alternativa? È quella che quei rugbisti tentano ogni giorno di offrire ai ragazzini di Librino, 80.000 abitanti, quartiere di Catania, assurdamente progettato da Kenzo Tange, archistar giapponese, al quale bisognerebbe chiedere come poteva aver immaginato, i pomeriggi dei ragazzini del quartiere, in un luogo in cui, oltre ai casermoni di cemento armato, non c’è assolutamente nulla.
Dove può anche accadere che le stesse famiglie per 140 euro al giorno, spingano i propri figli allo spaccio se non alla prostituzione.
Questo nostro rugby
domenica, 28 febbraio 2016
Questo rugby che ci fa sognare. E che ogni volta, all’ottantesimo, ci fa disperare. Questo rugby che riempie l’Olimpico e quasi lo straripa. Di un tifo speciale. Dell’azzurro. Di sciarpe e cappellini. Del sorriso felice di ragazzini che vivono finalmente un sogno. Questo rugby che sa di Parisse. Di Canna. Di Campagnaro. Di un tecnico francese che se ne sta andando. E di un altro irlandese che a breve, molto presto, arriverà.
Una storia che ne ricorda un’altra e un’altra e un’altra, già vista. Una musica già ascoltata. E noi che comunque, dopo cinque minuti abbiamo già scordato anche quest’ultima sconfitta. Perché? Ma perchè ci piace, questo rugby. Anche se ci piace un po’ meno quel cucchiaio ancora, da aggiungere alla collezione. Perché è questo rugby che ci fa sentire così. Che ad ogni fischio dell’arbitro ci fa vivere, morire e rinascere.
Quella volta in via Valvassori Peroni a Milano
venerdì, 8 gennaio 2016
La metro. Fermata Lambrate. La pioggia leggera. La club house. Oltre il cancello. Nel cortile del palazzo. Il colore rosso. E quello bianco. Più avanti dall’altro lato della strada, il Crespi. Il campo. I treni. Il fango. I ragazzini. Il rugby ovunque. Dappertutto. Negli occhi. Dappertutto. Nelle frasi. Dappertutto. Tra le parole. Di quelli che entrano. Di quelli che portano lì quel po’ di se stessi. Che poi cedono agli altri.
Un club. Un gruppo di persone. Un gruppo di amici. Una passione. Le storie. I ricordi. E le partite. Le coppe. E le foto alle pareti. A ripercorrere il passato. Dappertutto. Negli occhi. Dappertutto. Nelle frasi. Dappertutto. Tra le parole. Generazioni. Di rugbisti. Dal più ragazzo. A quello meno. Seduti sulle panche. Allo stesso tavolo. A ribadire da dove è cominciata. Come vive. E come proseguirà questa storia così ovale.
Se vincessimo il mondiale di rugby
mercoledì, 9 settembre 2015
Ma se lo vincessimo per davvero il mondiale di rugby? Te lo immagini? Come quando vincemmo quello di calcio. Quello di Bearzot, Rossi e Tardelli. Quello di Pertini che al nostro terzo gol, si fece scappare: non ci prendono più! E di Martellini che al fischio finale, con appassionata enfasi urlò: Campioni del mondo, Campioni del mondo, Campioni del mondo!!!
Sarebbe una gran bella soddisfazione, eh? Tutta l’Italia scenderebbe per strada. Non soltanto il popolo ovale. Non soltanto quei pazzi innamorati di rugby. E ci sarebbero cortei di auto e cori. Gigantografie di Parisse e compagni, appese alle case. Ne parlerebbero tutti. Ovunque. Anche quello del bar sotto casa che ad ogni sconfitta della Nazionale, un pochino ti sfotte.
La decisione della formica
domenica, 9 agosto 2015
Mi sono trasferito in giardino. Ho preso il pc, la bottiglia d’acqua, un pacchetto di fazzolettini, e ho poggiato il tutto su un tavolino in ferro battuto che da anni sta fuori all’aperto, esposto sia alle intemperie che all’acqua dell’impianto di irrigazione, quasi completamente arrugginito che non so come faccia ancora a restare così stabile sulle sue quattro gambe.
Starsky, il gatto, è un tipo discreto, non è di quelli che come ti vede si precipita a strusciarsi addosso. In questo momento sta a circa un metro e mezzo da me, cercando di provvedere ad una seria, precisa, pulizia delle zampe anteriori. Così pignolo nel procedere con la toeletta che la lingua sembra una dinamica spazzolina che non conosce alcuna sosta.
Quella dolce poesia che sta tutta nel passarsi la palla
mercoledì, 8 luglio 2015
Aspetta. Prendo la borsa e arrivo. Ho detto aspetta! Un attimo! Dai che sono pronto! Mentre finisco di infilarmi le scarpe con una mano, con l’altra cerco di chiudere il portoncino a chiave. E’ tardi! E non è il solito ritardo: è parecchio di più! Scendo le scale affrontando i gradini a gruppi di tre, ecco l’auto. Mi aspetta un amico. Il sempreprontoapassareaprendermimezzoraprimadellediciannoveetrenta: Mario. Detto anche Lottico. Come quello degli occhiali ma senza l’apostrofo che col tempo si è perso per strada. Lo chiamiamo così. Da sempre. Non per l’attività che svolge, lavora in tipografia, una specie di grafico, ma gli occhi, gli occhi sono la sua passione. E’ in grado di distinguere qualunque tipologia di congiuntivite, al primo colpo. E studia l’iride, quel disco membranoso con al centro la pupilla, dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Non faccio a tempo a poggiare il culo che l’auto schizza via. Ehi, non esagerare. Rallenta un po’. Altrimenti al campo ci arriviamo, sì, ma non a quello da rugby, a quello santo!
Pare si chiami rugby, anche per questo
domenica, 7 giugno 2015
Una palla ovale. Tra le mani. Una semplice palla. Bislunga. Si fa per dire. Semplice. Perché se si ha a che fare con qualcosa che quando stabilisce di rimbalzare, evita di ritornare al punto di partenza. Significa che non puoi giocare da solo. Perché se anche la lanci contro il muro, non tornerà tra le tue mani.